Angelo Maugeri: Kursaal

Riporto per intero la nota dell’autore per KURSAAL (Guanda, 1989):
“Kursaal in tedesco è – sala nella casa di cura, per danze, spettacoli, intrattenimenti… – Il termine, pur nel suo allargamento semantico in – casa da gioco – , viene qui assunto in funzione essenzialmente simbolica. Il ricorso al tedesco, nel titolo complessivo del libro come alcune sue parti, intende suggerire un orizzonte iperlinguistico tanto straniante quanto – per me – lontano. Nei testi di Kursaal, l’idea composita di – sala – e di – cura – è calata in una realtà intenzionalmente purgatoriale: qualcosa che travalichi il sentimento della sofferenza o della convalescenza, avendo come una dimensione suprema il – divertimento -, ossia l’immaginazione della felicità. Come si può supporre, il senso dell’attesa, cioè della speranza, è quello maggiormente perseguito. Con una percezione molto labile della cronologia, questo libro si colloca all’interno di una certa divaricazione lungo gran parte degli anni Ottanta. Kursaal, nella sua interezza, è dedicato a mia madre e a mio padre.”

Parrebbe, dunque, non dover aggiungere altra considerazione perché come sempre, il commento migliore per un libro è quello del suo stesso autore. Certo, la centralità del tema della stanza rischia di relegare nell’ombra le sfaccettature e persino le asperità semanticamente meno rimovibili del libro. Nel suo insieme il commento di Maugeri rimanda all’idea di rielaborazione psichica attraverso l’esperienza del distacco da un qualche trauma – al limite, quello della vita intera -.
Questa stanza, insomma, si pone come luogo di un incontro riassuntivo tra il vicino e il lontano, mai serenamente ricongiunti e ricongiungibili, sembrerebbe, se non, forse, attraverso la pratica dell’amara ironia, del divertimento ammantato di bianco. La dichiarazione di Maugeri, dunque, è il tentativo di coagulare dentro lo spazio-tempo degli opposti, la dimensione più ambigua dell’essere io: riassunto e divaricazione.
Anche Valerio Magrelli, nel risvolto di copertina, centralizza il libro intorno al tema dello spazio delimitato: “ovattato, attutito, immerso in una luce soffusa, ma al contempo percorso da una tensione nascosta e intollerabile. E’ l’angoscioso luogo dell’imminenza, dove ogni cenno sembra essere il preludio di un dramma destinato a non compiersi mai.”
Potremmo tradurre più radicalmente questa “imminenza” col termine “immanenza”: spazio/ tempo in cui niente si compie perché bloccato da un dramma più antico del nostro personale destino. Il sogno, l’attesa, il non compiersi dell’evento, infatti, non sono solamente faccende psichiche dell’essere, ma dell’Essere. Il tempo non è declinabile.
Dunque: quando accade la poesia? Le tre canzonette iniziali suggeriscono la presenza, come sostrato, di una lingua balbettante dell’infanzia. Lingua presto rimossa, ridotta a innocente suono, nella quale, tuttavia, già s’insinua la violenza della lingua adulta:

Apri una tenda
scosti un costume
di garza e di stringhe
cedevoli elastici
e morbidi mastici
per calze e giunture
mutando ruotando
uncini di busti
deliranti perline
vetrini e pompons
ma tu ma tu –

Gioco carnascialesco di pizzi, costumi, garze, elastici, pompons; ma anche ambiguità della tenda e della maschera che nascondono, che già preparano il male. La necessità del “divertimento, ossia l’immaginazione della felicità” di cui parla Maugeri, è allora, necessità di un antico stato dell’essere.
Il Bitter della seconda sezione – amaro – è una variazione intorno al tema di uno sdrucciolare:

La paura riconosce la scala
via dal primo passo
via
come una data elusa
una data sbagliata

*

Di un ambiguo incedere:

Il fascio delle corde
pendule lisce
vocali
viene dal tuo al mio
portare tormento
la gabbia che tiene
il giocattolo animale
il dente della belva il cupo fascino
del suono del serpente come un ordine
imposto nel chiuso prospetto del caos.

*

Del desiderio di retrocedere:

La tastiera del tempo
da toccare da mettere
in fuga
fino a quell’attimo
oscuro che non
può sottostare a misure
ripete che amo – che amo
a metà dell’attesa
vulnerabile a parole
mai dette a pensieri
nascosti celebrando
ciò che no è stato
e non è ancora.

*

Della labile memoria – o meglio – della censura della memoria:

Così sulla ferma
destinazione del luogo
(- Quello che voglio
dirti ecco che già-
dimentico, dimentico… – )

Kursaaal, la sezione centrale del libro, è preceduta dal prologo di uno spettacolo da camera (kammerspiel) in cui gli attori provano ad indossare la maschera della recita e in cui le parti assegnate a volte non sono così ben definite. Siamo nel luogo della ricerca dei nomi propri, i nomi più identitari; quelli dell’origine e dell’identificazione con l’altro più prossimo: il padre e la madre:

Così andando dietro a un nome

Così andando dietro a un nome
non riuscendo
a staccarsene come si fosse
ricevuto in consegna e smarrito
nel deposito dei nomi propri
dentro la mente càpita di leggere
onda on ombra del cerchio
la voce propria con
la voce di un altro.

*

La fonte del suono

2

Nella persona che non sembra possedere
tesa e vibrante schiacciando
il suo pallido amico
è la bambina che presta nel nero
abito adulto la voce della donna che canta
segretamente immersa nella sua
nostalgia che dà suono e figura
alla fine dell’infanzia.

*

3

Nessuna meraviglia nel concedere
la trepida tortura degli scambi
il corpo in cui a versarsi ricomincia
la fonte del suono o l’amato
sentirsi parlati o taciuti
al modo in cui si penetra
in un luogo abitato – l’infanzia
non ama l’attesa scompone
il punto che approssima e tenta
debole fuoco un contatto che a vita
brucia la carne e il sangue.

Angelo Maugeri, insomma, sembra evocare in questi testi le grandi scene archetipiche della prima formazione psichica – tutto da verificare come percorso di lettura è il rimando al libro rosso di Jung e ai suoi percorsi iniziatici verso una qualche forma di liberazione -. Si tratta di “uno slancio indiziario” in cui il soggetto sembra farsi tramite di se stesso, oggetto di s/conoscenza:


l’ascolto della storia il gran brusio
come un altro richiamo
di rami e ramoscelli un parlottare
fatto persona
come fosse fiorito il mondo
sulle cime degli alberi.

4
Ma l’errore precipita a capofitto
l’eroe nell’interpretazione che mutila
i tratti scoperti della mappa del cielo

L’inizio è il gesto semplice di due che si guardano, “gli occhi come uno striscio / di sangue per scrutare la comune / malattia d’amore”.

Leggere questo libro, privilegiando la sezione eponima, può essere fonte di errore. La stanza centrale, il luogo in cui una sorta di deus ex machina mette in campo la recita di una simbologia drammatica che si è costituita a partire dalle vicende dell’essere, è il teatrino di una recita ben più vasta che si mostra in forma di favola, misterioso sottotesto di un vivere ancorato al dato oggettivo, alla tirannia del tempo, alla “trama” della Storia. La copertina del libro, ritagliata, tuttavia, dal suo insieme più significante, suggerisce, appunto, la trama di favole oniriche, in cui il senso dell’accadere è demandato a una realtà s/velata, probabilmente attraverso il tramite del corpo sensuale, del corpo del mondo.

In un campo che è fuori ma noi
lo vediamo benissimo oltre
la cornice che lo sprofonda per farlo
risalire dal buio di questo cielo chiuso
per nascondere armi e amanti
non dobbiamo lasciarci ingannare dove nessuno
è sicuro di nulla dove ogni viso
è privo di nome e margine e vi sono
deboli prove oggetti estranei
ma resistenti
alle disposizioni dei legislatori.

Esiste un altro modo di leggere questo libro, forse il più immediato e semplice: un vero rischio per un critico. Consiste nel centralizzare un testo presente nella sezione Kursaal:

Come uno che odia e ama
la sua città
e se ne va in un’altra e in un’altra ancora
poi ancora in un’altra e da tutte
si sente abitato e ricorda
come un’aurora confusa al tramonto
sempre più il paese dov’è nato e per questo
dentro di sé crescere sente
a briciole e scintille e vuoti d’aria
il paese senza senso
sena dove e senza quando
del suo incompiuto partire –

E’ il tema dell’esilio e dello svagare memoriale, che qui affiora prepotente come un’improvvisa isola vulcanica dall’oceano dei ricordi, certamente uno dei temi meno affrontati direttamente da Maugeri; si leggano alcuni testi rimasti inediti e poi raccolti in un libro del 2015, “Prove d’impaginazione”, pubblicato da Nem, in cui la memoria si erge a baluardo, l’ultimo, prima dell’avvento di un’archeologia personale.
Si tratterebbe, dunque, di considerare i rivoli della dispersione psichica come una conseguenza del rimosso, idea in parte praticabile a patto che si consideri questo: il vissuto si ripresenta in forma di favola ormai trasposta in simboli; ciò che è avvenuto si adombra, la memoria è arma spuntata. Bellissimo è il poemetto Sturm, (Tempesta), in cui il tema dello smemoramento dell’essere nel tempo, è declinato nello stupore malinconico della scomparsa:

Poi che non rispondi ai miei vivi
occhi della mente
il campo rasenta il tramonto
che batte fra il vetro e la veglia
presto le lotte finiscono
per cominciare intorno
ai limiti del giorno
i piedi perdono le impronte
ogni passante del pensiero torna
alla radica della notte.

*

La nudità dei cespugli dimentica
la terra fresca di spade e scudi
scende dalla costa alle labbra
la fedeltà del tempo
l’infedeltà dei luoghi
i rari uccelli strappano al silenzio
il mormorio dei libri
la città dei rifugi domanda
lo splendore narrato del mondo
la parola non detta in cui vive
il tenero mostro del cuore.

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